Dublinesque

Gennaio 5, 2011 in Libri da Stefano Mola

Titolo: Dublinesque
Autore: Enrique Vila-Matas
Casa editrice: Feltrinelli
Prezzo: € 18,00
Pagine: 246

dublinesqueSamuel Riba appartiene alla stirpe ormai sempre più rara degli editori colti, letterari. Alla stirpe, non alla categoria lavorativa: nel tempo di questo romanzo ha ormai abbandonato la sua casa editrice da circa due anni. Ne mantiene la forma mentis, soprattutto una spiccata tendenza a leggere la sua vita come un testo letterario, a interpretarla con le deformazioni tipiche del lettore incallito quale è stato per tanti anni.

Immerso in questo stato, trascina le sue giornate prevalentemente davanti al computer, trasformato in una versione letteraria di un hikikomori, termine giapponese che indica quei giovani che si rinchiudono nella loro stanza rifiutando qualunque tipo di interazione sociale, e vive in una potente e angosciosa psicosi da epilogo finale. E nulla e nessuno è ancora riuscito a convincerlo che invecchiare ha il suo fascino.

Al di là del rapporto con la moglie Celia, appena convertitasi al buddhismo, l’unica cosa che sembra poterlo rivitalizzare è un viaggio a Dublino, da compiere insieme a tre amici scrittori, durante il quale intende celebrare il funerale dell’era Gutenberg.

Dublinesque, oltre che una poesia di Philip Larkin, è il titolo dell’ultimo romanzo di Enrique Vila-Matas, senz’altro uno dei suoi più riusciti e importanti. La vicenda di Samuel Riba brevemente delineata riassume molti dei temi principali dello scrittore spagnolo: l’iperletterarietà, che si celebra in un serrato gioco di rimandi a opere di altri autori, una certa poetica dell’inconcludenza (si pensi per esempio a Bartelby e compagnia), il gusto per l’inserimento di accadimenti oscuri e misteriosi che i protagonisti leggono immediatamente come segni di una trama.

In questo romanzo si aggiunge una riflessione sulla fine, declinata nei temi della vecchiaia, e della scomparsa d’un certo tipo di letteratura soverchiata dall’editoria commerciale al traino delle storie gotiche di sicuro successo. Per quanta passione si possa nutrire per essa, nemmeno la letteratura sembra poter offrire una salvezza. Leggere la propria vita come un romanzo porta inevitabilmente a uno scarto, alla distanza che stabiliamo con le cose nel momento in cui vivendole al tempo stesso le narriamo, da cui una nostalgia fortissima per momenti di vita puri, dove ci si possa sentire al centro delle cose, dove tra il vivere e il sentire non ci siano spiragli né interpretazioni (da cui il sogno/illusione che vivere a New York potrebbe portare al centro delle cose).

Dublinesque è un romanzo densissimo, che si presta a molteplici analisi e piani di lettura, che non possono senz’altro essere esauriti in una breve recensione quale questa. Ci preme infine sottolineare che il tutto è servito sulla tavola dell’ironia e del grottesco, a stemperare la potenziale pesantezza di un clima psicologico spesso ossessivo.

di Stefano Mola