Divagazione sulle stagioni africane

Aprile 7, 2002 in Viaggi e Turismo da Redazione

Le stagioni sono quattro, tutti lo sappiamo e lo sappiamo bene; fin da quando siamo piccini piccini ce lo insegnano, all’asilo prima e alle elementari poi, a volte ci fanno fare pure dei disegnini in proposito. Prima si fanno le margheritine in boccio con le rondini che svolazzano e sappiamo che questa é la primavera, poi ci sono le ciliege mature ed il sole giallo giallo giallo e sappiamo che questo vuol dire l’estate, poi il sole diventa pallido e ci sono le foglie gialle che cadono e le castagne e sappiamo che questo é l’autunno, e poi tutto si ricopre di una coltre bianca, da cui a volte spunta un uomo di neve col cappellaccio in testa ed una carota per naso e l’espressione ebete, e stavolta sappiamo che é arrivato l’inverno.

Poi, crescendo, scopriamo le quattro stagioni in forma sempre nuova, di poesia e di musica e di pizza, e le voci che insinuano “non ci sono più le stagioni di una volta” (principalmente in relazione alle famose “mezze stagioni”) non ci toccano mai più di tanto, perché noi lo sappiamo con assoluta certezza, che le stagioni ci sono e che sono quattro.

E invece no.

Qui, le stagioni, sono due.

Prima (o poi) c’é la stagione secca, che va grossomodo da novembre a maggio.

Durante la stagione secca, ci sono sempre e regolarmente le epidemie di meningite, e non appena l’epidemia viene riconosciuta e validata, tutti saltano su preoccupati a chiedersi “E i vaccini? dove sono i vaccini? Bisogna portare i vaccini! Però i vaccini non bastano per tutti, chi vacciniamo allora?”, e via con monitoraggi e missioni sanitarie a go-go, anche se in effetti la vaccinazione andrebbe fatta prima dell’epidemia, soprattutto quando si tratta di epidemie stagionali assolutamente prevedibili.

Durante la stagione secca, il paesaggio é verde ma non brillante, l’erba é bassa, il livello del fiume é pure basso, le piste sono in buone condizioni ed il cielo é sempre, sempre, sempre, sempre blubblubblu’ (così sempre e così blu, che a volte ti vien la nostalgia di vederci una nuvoletta, foss’anche soltanto uno straccetto di cirro d’alta quota…).

A parte le papaye che vengon su, anzi giù, da sole, durante la stagione delle piogge la gente coltiva un sacco di cose, manioca miglio e insalata per esempio, e poi tutti coltivano il cotone, questa candida e un po’ inutile eredità coloniale, e poi lo raccolgono e lo accumulano davanti a casa aspettando che il camion della Società Cotonifera venga a raccoglierlo, e sperano che il camion non tardi troppo, perché se ricomincia la pioggia prima che arrivi il camion, il candido raccolto si inzuppa e se ne va in malora, e si può pure dire addio al modesto guadagno previsto (si dice che nei nei villaggi si organizzino pure dei rituali anti-pioggia, al fine di bloccare le cateratte del cielo fino al sospirato passaggio del camion).

Poi (o prima) c’é la stagione delle piogge, che, attesa per il principio di maggio, qualche volta si fa attendere per un paio di settimane, esplodendo infine in tutta la sua umida e battente esuberanza… l’altro anno è successo proprio la mattina del quattordici maggio (quella stessa mattina che trovava gran parte degli italiani espatriati in posti un po’ disagiati, con l’orecchio appiccicato ad una radiolina sintonizzata su Radio Rai International, per sapere che cosa diavolo i compatrioti residenti nella Penisola avessero combinato nel segreto della cabina elettorale…).

Durante la stagione delle piogge, non solo la meningite si interrompe, ma pure l’attività dei “coupeurs de route” o “saragina” o “zarkina” (i famosi banditi che operano sui principali assi stradali del Centrafrica); in effetti la loro é un’attività stagionale, come quella del bagnino e del maestro di sci. Fiorisce durante la stagione secca e va in letargo durante la stagione delle piogge, perché con tutta quella pioggia le piste e la foresta sono zeppe di fango, e scappare a piedi col fango alle ginocchia non é cosa tanto fattibile, specie quando hai (o potresti avere) la gendarmeria alle calcagna.

Durante la stagione delle piogge la strada si riempie di buchi. Ogni tanto un gruppo di omini si associa e ripara la strada riempiendo i buchi con delle pietre e poi gli stessi omini rimangono lì per tutto il giorno, a chiedere ai (rari) automobilisti un contributo informale per il lavoro di pubblica utilità effettuato.

Dopo qualche giorno, la strada si é di nuovo riempita di buchi, ed il simpatico ciclo microeconomico ricomincia e si perpetua.

Durante la stagione delle piogge il mondo diventa verde brillante e l’erba diventa alta alta e non ci sono più papaye, però ci sono tantissimi manghi, che sono dolci dolci con un loro strano retrogusto come di resina e crescono su degli alberi enormi, belli e alti e dritti e con una enorme chioma verde e rotonda, così rotonda che pare disegnata da un bambino dell’asilo.

Morale della favola: continuiamo pure a sospirare sull’avvicendarsi (sempre più svelto) delle (quattro) stagioni, che in un tempo meno televisivo del nostro segnavano il tempo del raccolto ed oggi segnano il tempo dell’anno scolastico e della stagione sciistica e delle ferie, però spieghiamolo, ai nostri bambini e ai nostri poeti, che c’e’ una parte di mondo in cui le stagione sono soltanto due, e una é bagnata e l’altra é asciutta e la lunghezza del giorno é sempre la stessa, e forse é per questo che il tempo qui passa ad un ritmo diverso.

di raffa