Compie trent’anni la festa di San Giovanni

Giugno 23, 2001 in Spettacoli da Redazione

24708Giù le mani dalla festa di San Giovanni. La tradizione che appartiene da sempre alla città di Torino in questi ultimi anni è diventata un po’ troppo un contenitore in cui infilare di tutto e chi ha girato per le strade e le piazze durante la settimana se ne sarà accorto, tra stuzzichini, aperitivi, giocolieri e quant’altro.

Vanno bene la festa e l’allegria, ma diamo a Cesare quel che è di Cesare, ossia diamo all’Associassion Piemontèisa ciò che giustamente rivendica, cioè il merito di aver fatto rivivere in città la storia, la leggenda, la tradizione, la cultura della nostra gente, senza attribuirsi l’esclusiva di alcunchè ma dando un esempio importante di come si possano salvaguardare le radici di un territorio. Notiamo questo perché c’è la tendenza, da parte di alcune associazioni, di rivendicare la paternità di alcune esibizioni, usanze o cerimonie, come ad esempio la Messa in Duomo che fa parte da sempre della storia di ‘San Giovanni’.

Un’altra curiosità che spesso la gente non conosce è che le maschere di Gianduja e Giacometta rimangono incomplete e un falso storico se non si ricordano anche i Giacometti, nati proprio per dare vita, con le ragazze, alla storica danza di corteggiamento della tradizione che deve svolgersi, ovviamente, tra uomini e donne e non solo tra queste ultime

Svelati questi piccoli retroscena e detto questo, godiamoci la manifestazione che ormai da alcuni giorni colora la città. Giovedì sera è stata magica l’atmosfera sul piazzale di Superga dove si è esibito il Coro Cai Uget e già fervono i preparativi per il gran finale pirotecnico dei fuochi artificiali che infiammeranno di stupore e allegria le rive del Po ai Murazzi, domenica 24. Andrea Flamini, dell’Associassion Piemontèisa, è il fautore di questa festa, avendola rilanciata tanti anni fa.

Da quanto tempo si occupa di ‘San Giovanni’? “Sono trent’anni. L’ho reinventata nel 1971, dopo 120 di assoluta assenza sia per motivi di sicurezza sia per noncuranza verso le nostre radici da parte delle istituzioni”.Motivi di sicurezza?”Sì, una volta c’erano tantissime case di legno e il falò o farò venne proibito ed essendo il centro della festa poco per volta anche questa si esaurì”.Poi ci ha pensato lei…”Non è stato facile perché gli amministratori della città dicevano, anche ultimamente, che le feste popolari non interessavano nessuno.

Con cocciutaggine ho insistito e negli anni bui del terrorismo, quando la gente aveva paura ad uscire di casa, sono riuscito a riportare in piazza e nelle strade migliaia di persone. La violenza si combatte anche così e la gente si è riappropriata della città e degli spazi più belli di Torino. Abbiamo coinvolto tutti, una festa collettiva senza precedenti”.E i fondi per realizzare tutte le iniziative?”All’inizio ce n’erano pochi, ma realizzammo lo stesso la prima sfilata storica in costume con 1500 figuranti e l’unico finanziamento della Crt e grazie all’intervento dell’allora assessore Giovanni Teppati. Poi nel tempo il budget è aumentato per organizzare il Carosello dei carabinieri e una rassegna alla grande, così si sono infilate tutte le associazioni, anche quelle che mi davano contro.

Adesso la spesa maggiore la sostiene il Comune di Torino con cinquanta milioni, ma il sostegno dei volontari è grande perché l’organizzazione è complessa”.E’ stato sempre facile ottenere i contributi?”No. Un anno il sindaco Castellani ce li ha tolti. Non avevamo potuto affittare i buoi e allora ho trainato io il carro del palio fino in Duomo, per non far morire la tradizione e non privarla di uno dei suoi simboli”.Qual è il significato della festa per Torino?”E’ molto importante perché si rifà all’antichità. Il clou della manifestazione è il 23 con il corteo storico e il 24 con i fuochi d’artificio. Anni fa le scuole finivano il 23 giugno e c’era l’abitudine di festeggiare tutti in città perché allora non c’era l’abitudine di scappare subito al mare o in montagna. La gente scendeva anche dalla collina, dalla ‘montagna’, come la chiamavamo una volta e bivaccava a Torino nella notte tra il 23 e 24″.E la celebrazione in Duomo?”E’ uno dei momenti più toccanti. Nel 1400 circa la scalinata del Duomo era stata realizzata per impedire che i buoi e i conduttori, durante il palio, entrassero, magari ubriachi, nella chiesa. Oggi c’è la benedizione del carro con le fascine, mentre una volta portava le ‘davìe’, cioè il cibo per i più poveri”.Un bilancio della festa a distanza di anni?”Rimane una delle usanze più sentite dalla gente. Ora come allora saranno circa centomila i partecipanti. Speriamo nel bel tempo. Io ce la metto tutta e vorrei che il lavoro di tanta gente fosse rispettato e aiutato. La nostra cultura deve continuare a vivere”.

di Guido Folco