Bruno Lagattolla: un ‘artigiano’ della musica

Luglio 2, 2002 in Musica da Claris

31435Tra i gruppi più convincenti del 18°New Orleans Jazz di Ascona, c’è una band italiana: la Lino Patruno & Red Pellini Gang. A margine delle loro performance, sempre molto applaudite, ne abbiamo incontrato un protagonista, Bruno Lagattolla, il batterista.

Bruno, come è nata la vostra band?

Il gruppo nasce, all’inizio degli anni novanta, da un’idea di Fabiano “Red” Pellini, giovane baritonista e arrangiatore romano, nonché mio carissimo amico da lunga data, e dal suo incontro con Lino Patruno, che lo aveva chiamato a collaborare alla colonna sonora del film “Bix” di Pupi Avati.

L’intuizione di Pellini era quella di riportare in auge il jazz bianco, quello che si suonava a New York e a Chicago negli anni Venti, rappresentato da musicisti come Bix Beiderbecke, Hoagy Carmichael, Tommy & Jimmy Dorsey, Frank Trumbauer, Bing Crosby, Joe Venuti & Eddie Lang.

La nostra Gang si dedica totalmente a questa musica, studiandone il repertorio e arrangiandone i brani. Siamo praticamente gli unici al mondo che continuiamo questo filone, tanto che anche molti intenditori americani rimangono stupiti dalle nostre esibizioni, in cui usiamo strumenti d’epoca, fra i quali il sax basso e il C-melody sax, non più in uso nelle orchestre da oltre sessant’anni.

31436(1)Parlaci del rapporto tra la Lino Patruno & Red Pellini Gang e Ascona.

E’ il terzo anno consecutivo che partecipiamo a questo Festival e siamo, come sempre, onorati dell’invito. Qui l’atmosfera è particolarmente frizzante e costruttiva, perché si vive quasi in comunità, ci si può confrontare e c’è un eccezionale spirito di solidarietà tra artisti. Appena si termina di suonare, ci si mischia tra il pubblico e si vanno ad ascoltare altri gruppi. Purtroppo nelle metropoli raramente succede questo, perché c’è molta più diffidenza tra jazzisti.

Inoltre qui l’organizzazione è perfetta nella logistica e anche molto seria ella programmazione. Ad esempio, Umbria Jazz, dove pure siamo stati più volte, ha perso il suo fascino di manifestazione per appassionati di jazz. La sua chiave di lettura, ormai, è proporre world music, fusion, salsa e relegare il jazz in secondo piano, nonostante il nome…

Il vostro rapporto col pubblico, qui al New Orleans Jazz Festival?

Splendido: le persone sono molto competenti e preparate ad ascoltare questo genere musicale, a differenza, purtroppo, di quanto succede in Itala. Del resto noi siamo una mosca bianca, dove tutto il jazz viene quasi ignorato a scapito di rock e pop. In particolare, poi, il jazz tradizionale proprio non viene preso in considerazione, sembra quasi sacrilego!

Perché, secondo te?

Le cause sono molteplici. Lo show business italiano non crede nelle potenzialità del jazz tradizionale, al limite nel free jazz, ma è una contraddizione in termini. Mi spiego meglio. Per un giovane a digiuno della tradizione musicale jazzistica, ascoltare assoli di lunghezza infinita oppure band a cavallo tra fusione e jazz, diventa incomprensibile e noioso, col rischio di accantonare per sempre l’idea di avvicinarsi ad un genere dalle mille sfaccettature. Occorrerebbe diffondere maggiormente il jazz classico, perché risulta più fruibile e di facile presa, in quanto maggiormente melodico ed orecchiabile. Il feeling con le musiche e le sonorità diventerebbe immediato e familiare in breve tempo. Prova ne sono, qua ad Ascona, i tanti ragazzi che durate il pomeriggio passeggiano e si fermano, quasi per caso, davanti ad un palco e vengono rapiti da un’acustica affascinante.

In Italia, purtroppo, il jazz tradizionale sembra non essere politically correct, in quanto tacciato di tracce fasciste. Insomma, un’assurdità, tanto più se si pensa alle origini della musica jazz, nata tra gli schiavi d’America come urlo di ribellione verso i padroni bianchi.

Tutto diverso in Svizzera e Francia, dove proliferano i canali di musica jazz e, anche nei supermercati, non è insolito trovare sonorità swing nelle colonne sonore.

31437Per una settimana, ad Ascona, si possono ascoltare i migliori del mondo: quali i nomi da non perdere?

Sicuramente Leroy Jones, attualmente il miglior trombettista al mondo. Poi consiglio di seguire con attenzione Emanuele Urso e il suo Sestetto Swing. Emanuele è un prodigio naturale, un talento emergente, oltre ad essere uno dei pochi giovani che si è appassionato al jazz classico. Del resto non poteva che essere così, visto lo splendido ambiente famigliare in cui è cresciuto e che conosco bene, avendo io suonato per anni con suo padre Alessio.

Il bello di tutti i gruppi, qui ad Ascona, comunque, è che cercano il contatto col pubblico, ci tengono a creare un feeling che vada oltre l’ora e mezzo di musica: non sono avulsi dalla realtà, non vogliono essere considerati prime donne.

Tra i tuoi colleghi batteristi chi apprezzi di più?

Qui ad Ascona c’è un grandissimo in assoluto, Bob Ruggiero, che suona con Sam Butera. La batteria è sempre sul filo del rasoio: da una parte c’è la musica, dall’altra il casino; con Bob non si rischia mai di scavalcare la staccionata. Lui è un perfetto esempio di come integrare la batteria in una band: occorre suonare in funzione degli altri, accompagnare e correggere le sonorità, mai voler essere prim’attori a tutti i costi. In questo noi batteristi siamo artigiani, più che artisti!

Quali sono i tuoi programmi futuri?

Saremo in tournée tutta l’estate, soprattutto al sud Italia.

[Foto a cura di Massimo Pedrazzini]

di Claris