Andhira: tributo a De Andrè

Aprile 1, 2004 in Musica da Gino Steiner Strippoli

AndhiraE’ sempre difficile reinterpretare un grande cantautore come De Andrè però quello che hanno realizzato gli Andhira, gruppo sardo, ha dello stupefacente. Un incontro con De Andrè per nulla scontato ma affascinante. Un album che gli amanti della musica folk progressiva e di Fabrizio ameranno al primo ascolto. Ma attenzione questo lavoro non è solo un rifacimento di pezzi di De Andrè si va oltre. Infatti è un lungo viaggio dove le canzoni inedite degli Andhira si miscelano con le canzoni del cantautore genovese formando un’unica storia. La stessa Dori Ghezzi ne ha elogiato lo spirito: “ Fin dal primo concerto a Tempio, sono rimasta affascinata dal loro mondo musicale, ricco di contaminazioni pur rimanendo saggiamente ben radicato alle straordinarie armonie sonore della Sardegna. L’indiscutibile talento permette loro di affrontare, senza presunzione, coraggiose e personalissime rivisitazioni delle opere di Fabrizio, con sorprendenti risultati”. A confermare le parole di Dori c’è l’immediatezza con cui la bella “Rimini” apre il disco, intitolato “…sotto il vento e le vele” (ALA BIANCA), il brano di Massimo Bubbola e di De Andrè si arricchisce di una sonorità imperiosa medievale, molto progressiva, poi le voci di Elena Nulchis, Patrizia Rotonda e Cristina Lanzi danno un tocco arioso che completa la storia riminese. Eccelle il pianoforte di Luca Nulchis.

Diciamo subito che l’impatto di apertura è quello giusto per dire che questo è un signor disco. La suite si allarga a un inedito degli Andhira “Pregadoria” cantato in sardo e ad un “Ave Maria” solo strumentale in duetto tra il piano di Nulchis e il violoncello di Michela Murani. Di li il passo è breve per arrivare a “Disamistide” , scritta da De Andre e Ivano Fossati, un testo elegante quanto dolorante e crudo, vero, l’esecuzione della band sarda è impeccabile quanto lo sono i vocalizzi e i cori delle tre donne degli Andhira, il canto è un continuo crescendo di emozioni soprattutto nel ritornello davvero spumeggiante. L’intermezzo arriva con un lamento albanese “Oi Bir” solamente cantato da Patrizia Rotonda. Ma è solo un attimo per inoltrarsi in un inizio di ritmo quasi caraibico latineggiante ad incontrare “Amore che vieni amore che vai”, la parte cantata è al solito classicheggiante ma le parti solo strumentali sono a disegnare arie latine sorprendenti e mai banali. Un difficile brano che gli Andhira sostengono davvero ad un alto livello. Ma la bravura di questi ragazzi si dimostra nel proporre loro canzoni come nel caso de “La preghiera di Ulisse” , un testo poetico e raffinato: “ Stelle, stelle diamanti affogate nel calamaio della notte come lucciole nel cielo dei ricordi immutabili come sogni di gioventù non ridete di questa eterna specie di umani che, nascondendo il tremore, riprendono ogni volta il mare lasciandosi guidare dall’ebbrezza dell’orizzonte…”.

Saper interpretare De Andrè solo strumentalmente: gli Andhira all’ascolto di “Smisurata preghiera” ci lasciano di stucco, le sonorità sono fatte da una miscela di violino, viola e violoncello, ma è solo il preliminare per l’attacco a “La guerra di Piero”, qui commenti pochi sono perfetti. L’interludio a seguire segna profondamente questo lavoro, perché è il giusto collante della seconda parte de “La guerra di Piero”, stupendo quello che sanno creare musicalmente Paolo Sanna al berimbau e Giancarlo Murranca al bodran e caxixi, un ritmo incessante, una progressione da brividi col piano che “spara” a più non posso e le voci femminili intense come non mai: questo è il momento migliore dell’album, unico e stupendo. Davvero mette i brividi, basta questo a sentenziare che è un album fuori dalle regole, eccelso e non è troppo. La successiva ballata è degli Andhira “La ballata de s’isposa ‘ Mannorri”, qui le contaminazioni sonore sono infinite anche se il testo è un racconto un po’ amaro dell’amore di una sposa. Il “Valzer per un amore” è ripreso solo strumentalmente e non perde assolutamente la sua poesia anche senza testo. Divertente e ironica la canzone popolare francese del XIV secolo tradotta da Fabrizio De Andrè e rielaborata dagli Andhira “Il Re fa rullare i tamburi”. L’ultimo incontro con De Andrè gli Andhira scelgono di farla con un medley composto da “La canzone di Marinella”, “Bocca di Rosa”, “Dolcenera” e il “Pescatore”, qui le linee del piano di Luca Nulchis disegnano tracce latin jazz e suntuose marcette. Che dire in conclusione di questa recensione, che è un album atipico che può piacere solo a chi ama la musica! L’Andhira-progetto comprende tre voci femminili, una sezione percussioni e un pianoforte. Il trio vocale è formato da Elena Nulchis, Patrizia Rotonda e Cristina Lanzi. A differenza della coralità classica che richiede un colore timbrico omogeneo, queste voci nel cantare mantengono ognuna le proprie peculiarità, tra solismo e coralità sempre in evoluzione e in metamorfosi. La sezione percussioni è diretta da un eccellente musicista quale Giancarlo Murraca, i ritmi e i colori, spesso inusuali, vedono protagonisti alcuni strumenti che provengono da paesi lontani e che ben si sposano con lo “spirito nomade” di questo gruppo.

Infine il leader della band, Luca Nulchis, la sua musica e il suo eccletismo al piano si contraddistinguono in sonorità senza confini, lasciando intravedere le sue origini classiche ma anche le sue ricerche sonore.

Da dove e perché è nato “…sotto il vento e le vele”?

Andhira: è il risultato di un lungo viaggio sonoro, nel quale la nostra musica entra in contatto con alcune opere di De Andrè. Un progetto che nasce nel 2001 con l’intento di portare a San Vittore di Milano, la musica e la poetica di De Andrè, attraverso un evento culturale dal titolo “navigammo sui fragili vascelli”, un incontro con le donne detenute della casa circondariale milanese, ideato e organizzato da Dori Ghezzi e Iride Baldo per la Fondazione Fabrizio De Andrè.

E cosi vi siete messi al lavoro.

Abbiamo accettato con entusiasmo e un po’ di timore. Misurarsi con la musica di De Andrè richiedeva un enorme responsabilità, per noi che non volevamo fare semplicemente delle covers dei suoi brani e tanto meno cadere in facili speculazioni. Abbiamo iniziato a lavorare facendoci guidare dal nostro “sguardo nomade” e cosi le canzoni di De Andrè, sono state “aperte”, indagate, espanse, creando al loro interno altri momenti musicali di nuova composizione, alternate come in una grande suite, ad alcuni brani scelti dal nostro repertorio originale.

di Gino Steiner Strippoli