AC/DC per Traspi.net

Settembre 16, 2001 in Musica da Gino Steiner Strippoli

24755(5)Sbarcati un paio di mesi addietro allo Stadio Delle Alpi di Torino per un grande concerto, unica data in Italia, organizzato da Metropolis e Barley Arts, quell’incorreggibile scolaretto di Angus Young, insieme ai suoi eterni compagni, ha deliziato di grande energia circa 30mila persone: “ladies and gentlemen… AC/DC !!!”

E il rock scese all’inferno, ma non si tratta tanto di testi satanici, quanto di quella canzone indiavolata che rese la band australiana vero culto dell’hard rock. Era nell’album che consacrò Young e company, intitolato “Highway To Hell” (Autostrada per l’Inferno), e che uscì nel 1979. E di strada ne hanno fatta tanta i ragazzotti che nel 1974 debuttarono con “Hight Voltage”.

Capitanati dai due fratelli Malcolm e Angus Young, con Mark Evans al basso, Phil Rudd alla batteria e “Bon” Scott, cantante, gli AC DC per tutta la seconda metà degli anni settanta si imposero all’attenzione dell’impero musicale, marchiandolo con un suono rock fatto di assoli di chitarra figli del più puro e grezzo rock blues.

Come per le più grandi rock-band, costellate da disgrazie, anche per gli ACDC arrivò, in pieno successo, la tragica scomparsa di Reginal Belford Scott, per tutti “Bon”, cantante simpaticissimo, ma ubriacone, che morì intossicato dal proprio vomito, dopo una notte di “pieno” in giro per locali. E’ il 19 febbraio 1980. La band, i suoi amici, rimasero sconvolti: Bon rappresentava il canto selvaggio del rock blues. A sostituirlo, dopo molte audizioni, venne scelto Brian Johnson, attuale cantante, meno selvaggio del suo predecessore, ma molto potente. Ed uscì “Back in Black”, gli ACDC diventano la band più popolare della terra. Le campane suonano rock… “Hells Bells” diventa il simbolo di una generazione amante di un rock-blues sanguigno ed elettrico, come mai nessuna band era riuscita a fare, uscendo dai canoni classici dell’hard di band come Led Zeppelin e Deep Purple.

Al contrario di quanto si possa pensare, gli AC/DC sono un gruppo formato da musicisti di classe, professionisti che sono in grado di dare alla platea realmente ciò che vuole. Tant’è che non è vero che suonare l’hard rock è facile come sembra, anzi, se non si è più che bravi, si corre il rischio di annoiare, cadendo nel banale. I nostri non sono mai incorsi in questo, soprattutto dal vivo, dove hanno la capacità di eccitare, divertire e scatenare migliaia di ragazzi e non solo.

L’oggi dei magnifici, intramontabili e già leggendari “ragazzi” australiani si intitola “Stiff Upper Lip”, un album che riporta la band a volteggiare sui palchi d’Europa e del resto del mondo. Dopo 5 anni di silenzio, il nuovo disco rende omaggio alle loro radici blues-rock. Si parte da una pungente intro di Angus, nella canzone che dà il titolo all’album, per passare alla blueseggiante “Meltdown”, fino ad arrivare alle esplosioni della tuoneggiante chitarra di Angus nella provocante “Can’t Hold Me Back”.

Ascoltiamo il simpaticissimo Angus.

Com’è nato questo disco, dopo una lunga assenza?

“Sai, è stato divertente realizzarlo: per i 5 anni di silenzio ti posso dire che non ci è mai piaciuto essere messi sotto pressione. Nessuno dovrebbe affrontare la realizzazione di un disco come se fosse un compito da svolgere. A George, mio fratello, piace catturare l’essenza delle persone in studio e credo che ci sia riuscito molto bene. Finché suona con gli ACDC, la tecnologia non gli interessa”.

Già, quello di George è un ritorno inatteso, dopo il già lontano “Powerage”.

“Un giorno io e Malcolm stavamo prendendo in esame i possibili produttori, così incominciammo a parlare di dischi e ci venne in mente l’idea di utilizzare di nuovo George. Ovviamente lui sa molto bene chi siamo e cosa vogliono gli AC/DC, d’altronde c’è sempre stata quella sottile vena blues in tutto quello che facciamo.Tutta la migliore musica rock ha elementi di blues nascosti da qualche parte, non trovi?”.

Quanta fatica vi è costato questo nuovo lavoro?

“Questo è stato un album da 135 mila sigarette, afferma ridendo Brian Johnson. Io riesco sempre a capire se stiamo facendo un buon lavoro dal fumo che c’è in sala di registrazione! Pensa che quando i ragazzi mi fecero ascoltare per la prima volta il riff di “Stiff Upper Lip” incominciai immediatamente a cantarla in quella che io definisco la mia voce da “Satchmo”. Ci siamo divertiti a fare questo disco. Credo che i fratelli se la siano spassata a scambiarsi riff e passaggi chitarristici, ma per tutti è stata una gran bella boccata di aria fresca”.

Ma come vi vedete dopo 25 anni di intensa attività e come vi riconoscete verso le nuove generazioni?

“Noi sappiamo chi siamo, afferma ancora Angus Young. Ci fidiamo gli uni degli altri, e sappiamo perché ci siamo. Molta della musica che circola oggigiorno sta incominciando ad assumere una mentalità da fast-food, ovvero: pubblicalo, usalo e buttalo. A noi questo approccio non è mai interessato”.

Alle 21,30 circa, quando si sono catapultati sul palco, il mitico, geniale, maratoneta Angus e i suoi compagni, è stato, e sempre sarà, spettacolo nello spettacolo, con i preannunciati palchi immenso di circa 70 metri di larghezza. Poi parte il riff dell’eterno ragazzino del college, con in braccio una chitarra e tanta energia, pronto al suo solito strip e a fare tanti chilometri di preziosismi in rock.

di Gino Steiner Strippoli